Come tutti noi sappiamo, Picerno si è sempre contraddistinto per la sua vocazione e la sua cultura sociale ed economica di stampo agricolo. Se facessimo un’analisi della sua storia “agro-alimentare”, potremmo costruire un bel ricco magazine! È noto a tutti che l’economia nazionale, europea e mondiale della nostra epoca moderna si misura con un unico valore: il P.I.L, che stabilisce lo status economico della nostra vita. Questo parametro così importante ha cambiato i modi di vivere e di produrre dei nostri agroecosistemi. Ripercorrendo la storia dall’affermazione del cristianesimo fino alla prima guerra mondiale, apprendiamo che la ricchezza di un paese veniva valutata in quantitativo di grano immagazzinato nei granai nazionali. Pensando alla posizione strategica che la nostra Italia, e soprattutto la nostra regione, occupava già al tempo del Regno delle due Sicilie, potremmo avere un’idea ben chiara della potenziale ricchezza posseduta. Tuttavia non va dimenticato che questo potenziale era in mano di un solo ceto, rappresentato dai grandi proprietari terrieri che godevano di potere e rendite, a differenza del ceto dei produttori, laborioso e povero. I proprietari collocavano i loro prodotti sui mercati nazionali grazie al lavoro massacrante di tanti braccianti. La società contadina di Picerno si è dedicata da sempre ad un’agricoltura variegata e ricca grazie anche alla conformazione del territorio. Potremmo immaginare la Basilicata, e in generale l’intera Italia, come un modello produttivo interno, quasi un mercato in miniatura dei prodotti agricoli. Così anche ogni località di Picerno generava prodotti agricoli che cambiavano in base alle diverse zone: località degli orti (parte bassa di Picerno che oscilla sui 400 m. s.l.m.): in questa zona la vocazione ambientale (suolo-acqua-clima) era in grado di produrre abbon- danti ortaggi; località dei vigneti (zone del “marmo”, zona del “pantano”, zona delle “chiuse”), zone idonee per i vigneti sia per la fascia altimetrica, che oscillava tra i 600 e i 700 m. s.l.m., sia per l’ottima esposizione e ventilazione; località dei fruttiferi: zone con altezza superiore alla precedente (tra queste vanno ricordate le tre caratteristiche colline picernesi su cui si è insediato il popolo di Picerno), ricche di oliveti ormai quasi centennali, le zone delle alte “chiuse” fino ad arrivare in alta montagna, zona prediletta per la famiglia delle Pomaceae (pero e melo). Per quanto riguarda il rimanente territorio, esso era ricoperto da zone di macchieti sparsi di latifoglie (tra castagneti, querceti e in alta montagna, di faggete); a tutta questa ricchezza va sommato il grande contributo dei corsi d’acqua ricadenti nel paese grazie ai quali era possibile fare irrigazione con sistemi idrologici contadini, che oggi definiremmo a basso impatto ambientale. I corsi d’acqua che hanno dato un enorme aiuto all’agricoltura sono: l’Ontrato, la Braida e la Fiumara con innumerevoli affluenti che definivano la portata d’acqua utilizzata dai nostri padri-contadini. Infine vanno annoverati i tanti campi di cereali che si alternavano a legumi e colture foraggere (per l’allevamento animale) con la così detta “rotazione colturale”, che i nostri antenati medievali ci hanno insegnato. Durante la “rotazione colturale”, questi campi, coltivati con tanta maestria, comparivano in qualunque zona, a qualunque altezza perché l’obiettivo era produrre cereali per l’approvvigionamento alimentare in quanto allora la dieta alimentare era composta soprattutto da pochi carboidrati ricavabili da farine con poco glutine (a differenza delle farine odierne ad elevato contenuto) e dagli innumerevoli legumi che si coltivavano per l’apporto delle proteine. Grazie agli atti dell’Archivio di Stato di Potenza e da alcune memorie picernesi, si è scoperto che a Picerno si coltivavano anche le fibre tessili. Quest’ultime erano totalmente naturali, a differenza di oggi che si assiste al sopravvento delle fibre sintetiche per ragioni di mercato. Tra le principali fibre tessili coltivate vi erano il lino, il cotone ed anche i gelsi per la bachicoltura da cui si ricavava la seta, tutte colture che oggi, a causa di alcune logiche, non esistono più. Questa varietà di colture determinava: -un popolo ricco di braccianti, diversificati per lavori agricoli, con le proprie mansioni trasmesse da pa- dre in figlio; -un scambio di prodotti agroalimentari variegati, che indirettamente determinava una dieta alimentare completa per la vita dell’epoca; -un uso giornaliero, fresco, stagionale e continuo del cibo agricolo; -un uso dei prodotti agroalimentari soprattutto nel raggio di pochi chilometri, equivalente al nostro “km 0”. Ancora oggi gli obiettivi e le sfide che la politica agricola comunitaria deve affrontare, cambiando i modi, le norme, le metodologie ma ampliandoli ad una popolazione maggiore, sono: la sicurezza alimentare; i cambiamenti climatici e la gestione sostenibile delle risorse naturali; la tutela delle campagne dell’UE e il mantenimento in vita dell’economia rurale. Infine è importante notare che già all’epoca il nostro paese, pur disponendo di poche risorse ma grazie al contributo dei singoli cittadini, aveva indirettamente creato un modello, che rispecchia economicamente il modo di agire europeo, basato sul traffico delle merci (grazie alla stazione interna al paese che collocava merci per il napoletano) a “km 0”, sull’ottica del riciclo agroalimentare , della sostenibilità, e sulla conservazione dei paesaggi agricoli come un enorme tesoriere della cultura e delle tradizioni agricole che il mondo agricolo ha trasmesso al nostro paese. Questo zoom sul nostro mondo agricolo è una piccola goccia in un oceano, per spiegarlo non basterebbe un manuale. Pochi di noi hanno avuto la fortuna di sentire queste storie dai nostri nonni, ma oggi a noi spetta il compito più importante, ovvero custodire il patrimonio agricolo, rurale, storico e colturale in tutte le sfaccettature in quanto ogni cosa c’è presente, passato e futuro. Fonti: Biologi italiani n.9 ottobre 2007 Le politiche dell’unione europea NA-04—14-861-ITC - rocco caggiano - |
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Maggio 2020
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