La storia ha attribuito agli anni settanta e ai primi anni ottanta il nome “anni di piombo”. Luca Telese nel suo libro Cuori Neri definisce questi anni, violenti e sanguinari, come “uno dei più grandi enigmi della prima Repubblica e come ultimo capitolo dell’autobiografia del nostro Paese”. Una domanda sorge spontanea dall'affermazione di Telese: che cosa sono stati in realtà gli anni di piombo? Un semplice susseguirsi di morti e di stragi, compiute da ragazzi con idee estremiste, o bisogna indagare i profondi motivi che condussero a questa terribile carneficina? Sicuramente dietro a tutti i terribili omicidi che segnarono questi anni come un unico filo rosso e che ebbero come vittime gli stessi carnefici, quei ragazzi dai 14 ai 20 anni, ci sono motivi profondi radicati nel malessere della società italiana negli anni ’70. Ancora oggi si tende a parlare poco degli anni di piombo, perché la gente non vuole ricordare, forse per paura di ammettere i propri errori o perché non c’è ancora la volontà di squarciare quel velo di mistero, usato per occultare qualcosa di cui non si deve sapere e probabilmente non si saprà mai nulla. La vicenda che diede inizio a tutto fu la strage di piazza Fontana a Milano nel 1969, dove persero la vita 17 civili. Inizialmente fu accusato dell'omicidio l’anarchico Pietro Valpreda, assolto però in via definitiva 18 anni dopo, con l'ipotesi di aver organizzato la strage su volontà dei servizi segreti italiani per fermare l’avanzata del partito comunista in Italia. Da quel momento si susseguirono stragi ed omicidi fino ai primi anni ottanta. La maggior parte delle vittime erano ragazzi appartenenti a gruppi studenteschi schierati politicamente tra neri e rossi. Molti ragazzi vennero addirittura uccisi mentre compivano semplici azioni politiche, come attaccare manifesti, o all’uscita delle proprie sezioni di appartenenza. Tra queste giovani vittime è giusto ricordare: Ugo Veturini, Saverio Saltarelli, Mariano Lupo, Carlo Favella, i fratelli Mattei, Alberto Brasili, Mikis Mantakas, Gaetano Amoroso e Paolo Di Nella. A questo punto viene da chiedersi cosa sia stato fatto dalle istituzioni o dai partiti stessi per fermare tutto ciò. Nulla, non è stato fatto nulla. Al contrario le forze armate, in risposta a quest'ondata di violenza, hanno ucciso giovani militanti sia neri che rossi, intralciando anche le indagini con l’aiuto delle istituzioni ed alimentando ancora di più l'odio e la sofferenza. Anche i partiti non hanno fatto nulla di realmente concreto per fermare questo scempio; forse perché faceva comodo anche a loro? È impossibile pensare che gruppi di ragazzi progettassero attacchi terroristici o si uccidessero tra loro a causa dei differenti ideali politici, a meno che non fossero fomentati o spinti da qualcosa. Oggi tutte queste morti devono indurre a riflettere sulle vere cause degli anni di piombo e sull'effettiva eredità che ci hanno lasciato: sofferenza, paura, vittime innocenti e fautori di omicidi ancora sconosciuti. Tutto ciò deve fungere da monito per la nostra società, la quale crede di possedere la libertà senza accorgersi che non si è più liberi di esprime il proprio pensiero se non è conforme all’ idea di perbenismo e di politicamente corretto. Questo ci deve far riflettere su quanto sia importante difendere la nostra libertà di opinione, anche quando sembra un possesso sicuro. Perché è proprio questo il punto di partenza per nuove stragi e morti, in un’epoca dove viene deciso cosa si può dire e cosa no e dove le stesse istituzioni creando odio verso chi ha il coraggio di non conformarsi al pensiero unico dilagante in questi anni, ma combatte realmente per ciò in cui crede. - Michela Salvia - |
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Maggio 2020
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